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del paese in certe sue faccende particolari, nelle quali un uomo non scapita mai. Ma una donna? Ah! per le donne la quistione è differente. Il signor Caccia teneva questa differenza come articolo di fede. Quando un uomo non ruba, non mente, non tradisce, basta — tutto il resto gli è permesso. Dalla donna si esige ben altro.
— Corbezzoli, — borbottava stringendosi nel pastrano — sta’ a vedere che non sarò padrone in casa mia! Una sciocca ragazza si permette di resistermi ed io lascerò che il nostro nome serva di zimbello agli sfaccendati?
Un monello attraversò la strada cantando: “Guarda l’amore che cosa mi fa far”.
Il signor Caccia si voltò rabbiosamente, come lo avesse morso una vipera. “Sono queste canzonacce” pensò “che fanno perder la testa alle ragazze”.
Arrivato a casa non gli fu possibile preparare un discorso; dovette sfogare subito la sua bile e l'eccesso fu così violento che la signora Soave svenne. Quand’ebbero adagiata la povera donna sul suo letto, con un pizzico di camomilla bruciata sullo stomaco, l’esattore presa a parte Teresina, la investì colle piú terribili minacce.
Le disse che ella era l’obbrobrio della famiglia, il disonore dei suoi capelli bianchi: che, ostinandosi in quell’amorazzo, gli avrebbe accorciata la vita; che per causa sua le sorelle innocenti perdevano