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movimenti. La parola aveva breve e titubante, avvezza a tacere davanti alla voce fessa, ma imperiosa, del signor Caccia. Senza slancio nel reagire, senza spirito per rispondere, convinta che la prima virtù di una donna deve esser l’ubbidienza. Sulla sua fronte piccolina scendevano, divisi in mezzo, i capelli del colore di caffè bruciato, e spesso, con un movimento languido accompagnato da un sospiro, ella sollevava la mano per lisciarli. Si vedeva allora una manina magra, scolorita, come di cera vecchia, stretta ai polsi da certi braccialettini di crine intrecciato, sormontati da una rosetta.

— Saranno quindici anni appunto il mese venturo — disse ancora la signora Soave, dopo aver seguito per un pezzo, in silenzio, il corso de’ suoi pensieri.

— Quindici anni, che cosa?

— Da che è nata la mia Teresa.

— È vero.

— E l’anno dopo, subito, Carlino. Se ne ricorda, signora Caterina?

— Eh! altro. Si diventa vecchi.

Un secondo silenzio.

— Le gemelle hanno otto anni... non credevo proprio di averne ancora...

— Ma! Chi va al mulino si infarina.

— È il volere di Dio — concluse, sospirando, la signora Soave.

Il donnone grande e grosso si pose a ridere, forte, facendo traballare la persona massiccia.