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sendo una fanciulla, e non brutta, la simpatia non poteva prendere altro nome che quello d’amore.
Mancava però a quest’amore la gran leva, la vicinanza, l’intimità, la comunione dei sensi, per la quale l’uomo raggiunge il massimo grado dell’esaltazione amorosa.
Quando egli le scriveva che ogni sera prima di coricarsi pensava a lei, era vero. Orlandi non mentiva. Dopo una giornata allegra e una sera piú allegra ancora; dopo le chiacchiere rumorose cogli amici, le cene improvvisate, le copiose libagioni, le donne compiacenti e compiaciute, Orlandi tornava alla sua cameretta da scapolo coi nervi soddisfatti, le idee gaie, un benessere per tutto il corpo. Buttava via il cappello, il soprabito e tutto; si cacciava sotto le coltri e in quel momento di riposo, di solitudine, sul punto di staccarsi dalla giornata per entrare nel gran limbo del sonno, egli mandava un pensiero alla fanciulla lontana; poi s’addormentava profondamente.
Anche al mattino, quasi sempre, l’immagine di Teresa veniva a dargli il buon giorno. Riceveva le lettere di lei con piacere, le leggeva attentamente un paio di volte, sorridendo, felice di quell'amore intenso e ingenuo che gli faceva provare una gioia differente dalle solite. Esclamava, forte: “Povera Teresina!” Metteva l'ultima lettera al di sopra delle altre, in una cassettina di legno di Sorrento e usciva.