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intatti, non mostrava piú i diciotto volumetti del Botta, color cece, né la sontuosa legatura in pelle rossa dei classici, ché far rimettere i vetri costava troppo, e Teresina, dietro suggerimento di sua madre, vi aveva inchiodato un traliccio verde.

Quel colore oftalmico dava alla libreria un aspetto misterioso, come se racchiudesse dei veleni.

Il signor Caccia restava sempre immobile, profondamente meditabondo: non udendo nemmeno il rumore che faceva l’Ida, trascinando un carretto sotto il portico, né la voce spezzata della signora Soave che le raccomandava la tranquillità; e nemmeno due colpi abbastanza risoluti picchiati sul battente della porta.

Quando si aperse l’uscio sollevò gli occhi e fu meravigliato di veder entrare Orlandi.

Con Orlandi si diffuse per lo studiolo un tale sprazzo di gioventù e di allegria che l'esattore aggrottò le sopracciglia, e si fece ancor piú cupo; alla qual cosa il giovine non diede importanza, ma, tendendo cordialmente le mani, salutò l'esattore con molta disinvoltura.

— A che posso attribuire?... — disse subito il signor Caccia, sollevandosi per metà dalla poltrona con quel tanto di cortesia indispensabile, ma volendo mostrare che la visita era inopportuna.

— Le porto anzitutto i saluti di suo figlio.

— Mio figlio!... Avrebbe ben meglio a fare che mandarmi dei saluti. Tuttavia s’accomodi. Spero