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provinciale in confronto alle case signorili della via di San Francesco; la schiacciava soprattutto il riscontro del palazzo Varisi, tutto nero, imponente, colle finestre sempre chiuse, perché il marchese viveva a Cremona, ma con uno stemma inquartato al di sopra del portone, quasi a mostrare la presenza, in ispirito, del proprietario.

Altri palazzi, piú o meno antichi, sfilavano a destra ed a sinistra, mettendo capo da una parte alla piazza maggiore, perdendosi, dall’altra, nei campi.

La casa dell’esattore aveva le finestre al primo piano illuminate, e s’indovinava, attraverso le tendine a rete, un certo movimento.

Nella camera nuziale, la signora Soave Caccia, adagiata in un seggiolone, coi gomiti sui bracciuoli, si lagnava dolcemente.

— Che notte, signora Caterina, che notte!

La signora Caterina, un donnone dalla faccia pletorica sotto una cuffia di tullo nero a nastri arancione, la consolava alla meglio, girando per la camera, facendo dei preparativi.

— E mio marito che ha voluto andare sull’argine...

— Che vuole? Un uomo è un uomo; ci sono tutti laggiú; il sottoprefetto, il sindaco, il tenente...

— E la campana, mio Dio, se suonasse la campana d’allarme... come farei a fuggire?