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con un sorriso indulgente di persona pratica, di buon uomo senza malizia; lei diceva grazie, in fretta, lanciandogli un’occhiata riconoscente. E poi correva a nascondersi col suo tesoro.

Ma spesse volte il procaccio non aveva nulla per Teresina; passava dall’altra parte della via, ammiccando, con un cenno impercettibile del capo.

Era sempre un gran dolore, uno sgomento come se le mancasse la terra sotto i piedi; lo seguiva collo sguardo, allora, sembrandole impossibile che in mezzo a tutte quelle lettere non ve ne fosse una per lei. Di chi erano quelle lettere? Chi scriveva? Chi riceveva? Forse era accaduto uno sbaglio. La lettera di Orlandi giaceva in fondo alla sacchetta, dimenticata; forse peggio, il procaccio l'aveva recapitata per errore a qualcun altro.

Quando questo dubbio si impadroniva di Teresina, era come se avesse la febbre. Non vedeva, non capiva piú niente. Passava l’ora della colazione, quella di pettinarsi, di vestirsi, di lavorare; passavano tutte le ore, lente, orribili. Teresina stava male; il cuore le doleva da scoppiare, oppure rallentava le pulsazioni, come se dovesse mancarle la vita ad un tratto.

E dissimulava sempre, impassibile, girando per la casa come un automa, finché verso le quattro il procaccio tornava a passare colla seconda distribuzione; Teresina, che lo aveva aspettato tutto il giorno, lo chiamava, ansiosa, volendo assicurarsi