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e ricerche penose, Teresina decise di cucire la sua corrispondenza nella federa del materasso; ma spesso ancora scuciva per rileggerla, e tutte le notti, coricandosi, trovava modo di mettersi a giacere proprio sul suo tesoro.
Rispondere a codeste lettere non era un piccolo pensiero.
Ella si sapeva illetterata, ignorante d’ogni artifizio di stile, e temeva di fare cattiva figura; si limitava quindi alla coniugazione del verbo amare in tutti i tempi.
La sua maggiore gioia consisteva nello scrivere: “Mio dilettissimo Egidio” in alto — e sotto: “fedele Teresina”.
La vigilia di Natale venne Carlo a passare le feste in famiglia.
Carlino aveva veduto Orlandi, gli aveva stretta la mano, qualche cosa di lui doveva essergli rimasto; Teresina lo circuiva con astuzia, con finezza, invidiandogli la somma felicità di vedere Orlandi tutti i giorni.
Usava stratagemmi ingegnosi per indurlo a parlare dell’amico.
— Come è graziosa quella cravatta! Ne aveva una simile... non so piú chi... Oh! ma precisa. Chi mai l’aveva?
— Orlandi.
E un’altra volta:
— I tuoi amici sono ancora Franceschino, Edmondo?
— Sì.