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— Ho paura.
Anche questa parola fece sorridere il giovane; ma di un sorriso che non aveva nulla di irritante, che pareva anzi un compatimento, una carezza, un’indulgenza di persona forte.
— Cara... non si fida di me?
Le accarezzava le mani dolcemente, prima sul dorso, poi nel palmo, stringendole le dita ad una ad una. Non si vedevano bene in quel buio, dove apparivano solo i contorni, ma si guardavano intensamente, attirati l’uno verso l’altra.
Orlandi parlò ancora del suo amore. Disse che partendo all’indomani, sarebbe felice di portare con sé una parola di speranza, che le avrebbe scritto da Parma, e le domandò s’ella risponderebbe.
A monosillabi, balbettando, la fanciulla dichiarò che non avrebbe potuto ricevere le sue lettere.
— Perché?
— Se mio padre lo sapesse!
— Non lo saprà.
— Io non esco sola.
— Basta parlare col procaccio. È un buon uomo, ci aiuterà. Ella stia pronta quando passa, nient’altro... qui a questa finestra. Non è difficile.
Teresina non voleva. Orlandi fu eloquente, insinuante; le dimostrò così chiaro che sarebbe stato inconsolabile del suo rifiuto, che alla fine acconsentì.
Un passo incerto e zoppicante risuonò nel vuoto della via, verso la piazza.