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Erano le otto e mezza.
Alle nove cominciò a tentennare.
L’Ida aveva sonno; bisognò portarla di sopra, svestirla e coricarla. La piccina le aveva incollate le braccia sugli omeri; voleva dormire vicino a lei. Teresina pose la testa sul piccolo guanciale e finse di dormire.
Se avesse dormito davvero, là, sulla culla, incosciente e serena come l’Ida?
Un passo, nella via, la fece trasalire. Mio Dio, lui! No, non era lui.
Le gemelle si stavano svestendo, la signora Soave aspettava il ritorno del marito. Teresina, come un’anima in pena, correva dall’una all’altra, volendo mostrarsi disinvolta; ma via via che il tempo passava, era presa da un tremito nervoso che la scuoteva tutta.
Alle dieci, essendo rientrato il padrone di casa, si sprangò la porta; i coniugi si ritirarono nella loro camera. Era il momento decisivo.
Abbattuta sopra una sedia, coll’occhio fisso sul letto delle gemelle, Teresina ripeteva: “Non scenderò, non scenderò”. Ma l'orecchio, intento, spiava ogni passo che risuonasse nella via. Già le sembrava di averlo udito, quel passo, battere in cadenza, lentamente, come un tacito richiamo.
“Non scendo, oh! non scendo certamente”. Disse ancora così, per persuadersi ch'ella era ben decisa.