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— Che s’ha a fare d'altro?
— Leggete — suggerì Teresina.
— Leggere non è un giuoco.
— Narraci una fola! — esclamò l’Ida.
Una fola era assolutamente impossibile. Dove avrebbe trovato l'argomento? E la calma, e la pazienza per svolgerlo?
— No, no, la fola no...
Si rifiutava, implorando, con una dolcezza dolorosa. Sembrava dire: Allontanate, Signore, da me questo amaro calice. Si sentiva male davvero; i polsi le battevano disordinatamente; aveva la testa in fiamme e le mani di ghiaccio.
La signora Soave gemette:
— Purché siate tranquille...
Teresina si rassegnò alla tombola.
I numeri uscivano lenti dalle sue labbra, spesso incomprensibili, spesso ancora sbagliati. Era ricaduta nelle visioni amorose. Vedeva Orlandi, bello, seducente, che le chiedeva il favore di una parola, nient’altro che una. Che male c’era? Chi lo avrebbe saputo?
Una indolenza molle prendeva il sopravvento nei suoi pensieri. Infine non era lei che lo aveva cercato.
Quest'ultima considerazione, la piú futile, ebbe il potere di calmarla. Disse i numeri a voce alta, chiara, reagendo con un coraggio improvviso, dando un’occhiata rapidissima all'orologio.