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vasi da fiore, e poi delle casette col tetto, colla porta, colle finestre da chiudere e da aprire.
Era calma, sorrideva; ma ad ogni quarto d’ora i suoi occhi cercavano con ansia le sfere dell’orologio, e ad ogni ora che suonava, il sangue le dava un tuffo.
Per lo sforzo del contenersi, era diventata pallida. Aveva dimenticato di far colazione; si sentiva appetito, ma non la voglia di mangiare. Anche il parlare le costava fatica. Avrebbe voluto chiudersi nella sua camera, e non far altro che pensare a lui, intensamente, esclusivamente.
Non era possibile. Verso le quattro dovette andare in cucina ad ammannire il desinare; la mamma l’aiutava, debolmente, sedendosi ad ogni minuto, stringendo colle manine gialle il capo che le doleva.
— Va’, va’, mamma; faccio io.
— Le gemelle potrebbero darti una mano...
— No, mamma; hanno i loro compiti di scuola.
Le gemelle erano l'incubo di Teresina. Ella se le vedeva crescere accanto astiose, diffidenti, ricambiando con una musoneria fredda tutte le sue premure. Avrebbero potuto essere le sue amiche, le sue confidenti, e invece una barriera di ghiaccio le divideva. Questo era un grande sconforto per Teresina.
Così, tutta sola nella cucina bassa, intenta a uffici volgari, la fanciulla ingannava l’eternità dell’aspettativa avvinta docilmente alla sua catena,