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pagine dove si parlava di relazioni tra uomo e donna, apriva i tiretti, lisciava le cravatte disponendole in bell'ordine.
Anche gli abiti guardava, contando quante tasche avevano, sembrandole sempre che fossero troppe. Che mai riponeva in tutte quelle tasche?
Le piaceva sopratutto mettersi accanto a suo fratello, quando egli fumava, osservando in che modo arrotondasse le labbra per tenere il sigaro, come ne facesse uscire quelle nuvolette bianche, quei cerchiolini azzurri; li affrontava tossendo un poco, ma volendo resistere ai buffi caldi, fortemente odorosi, che egli le lanciava sul volto. Chinandosi con certe mosse improvvise, giocherellava colla catena d'acciaio del suo orologio, facendo scattare la molla del ciondolo, vuoto, e domandandogli:
— Perché non ci metti nulla?
Era un suo desiderio ascoso quello di possedere un ciondolo per riporvi capelli o ritratto.
Qualche volta lo interrogava sopra i suoi amici, chi erano, quanti, e come si chiamavano. Ella seppe così che aveva due amici intimi, tutti e due studenti del liceo: uno piccolo, brutto, butterato dal vaiuolo, che suonava la chitarra e si chiamava Edmondo: l'altro alto, forte, coi capelli ricciuti, i baffetti color d'oro, e rispondeva al nome di Franceschino.
S'arrabbiava. Avrebbe voluto che il nome di Edmondo