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moto; tutti i nervi, tutti i muscoli esultavano; ed ella li attizzava, esagerando la pressione delle mani, abbandonandosi al benessere fisico di quella specie di ginnastica.
Si fermò un momento per levarsi dalle braccia alcuni pezzettini di pasta, tenendo alte le mani, osservando che in quella positura le vene dei polsi scomparivano, morendo su su nella bianchezza soda delle carni.
Un raggio di sole piombando diritto, da un buco della tenda, sui capelli della fanciulla, le metteva intorno al capo una cornice luminosa che dava risalto ad alcune ciocchette pioventi sul collo, di dietro, fin dentro all'avvallatura delle spalle; e a certi piccoli ricciolini che si sbizzarrivano tra l'occhio e l’orecchio, coperti da un lieve pulviscolo di farina.
E si rimise al lavoro, spalmando, levigando la pasta che diventava lucida e prendeva un tono caldo nella prima gradazione del giallo; poi, con una grossa cannella, che Teresina staccò da un chiodo, incominciò la difficile operazione dello stirarla, adagino, con precauzione, per non romperla; avendo cura che tutta la superficie riuscisse uguale in spessore.
Quando fu ridotta sottile e compatta quasi come un foglio di carta, la ragazza, sollevando la cannella con un movimento esperto, sbatté la pasta sul tavolo, facendola cantare, srotolandola,