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— Non dice niente?
L’eh? imperativo del padre e le terribili sopracciglie aggrottate, la fecero rientrare in sè, tanto che soggiunse confusa, tremante per la menzogna:
— C’è un saluto per me... della zia Rosa?
Spesso, alla sera, quando aveva coricate le gemelle e ch’ella stessa, recitate le orazioni, stava per mettersi a letto, si fermava, mezzo svestita, sulla sponda del materasso pensando a quella sera.
Se passava un organetto, intanto ch’ella cuciva giù abbasso, sul gradino di legno accanto alla finestra, quel suono improvviso la scuoteva tutta, ricordandole emozioni deliziose.
Nei caldi pomeriggi di luglio, durante la passeggiata sull’argine, e, più tardi, in piazza dove i giovani del paese facevano l’olio, ella intuiva il segreto di quegli andirivieni, delle fermate, delle parole tronche, dei segni misteriosi. C’era Luzzi, Boccabadati, il tenente dei carabinieri, il farmacista; qualche volta Orlandi, due o tre altri, e in mezzo a tutti, Teresina cercava avidamente, inutilmente.
A novembre, nell’occasione della fiera, si aperse il teatro, con una compagnia di canto discreta. Si dava il Rigoletto.
Carlino che vi era andato una volta, in loggione, dove si pagavano ottanta centesimi, cantarellava i pezzi principali dell’opera. Sua sorella lo stava ascol-