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— Gli zii erano buoni?

— Tanto buoni; specie la zia Rosa, che non va mai in collera, nè mai si lagna di nulla. È felice, non è vero?

— Chi è mai felice a questo mondo!.... Teresina, tu non lo conosci ancora, no, non lo conosci.

Gli occhi neri della signora Soave si volsero desolati al cielo. Teresina aveva un desiderio pazzo di raccontarle il suo segreto, ma in quel momento non osò.

Poco dopo, senza nessun appiglio, come se una forza ignota le cacciasse fuori le parole, esclamò:

— Ho ballato.

— Hai ballato? A Marcaria? Non in casa dello zio, suppongo.

— No, in casa dell’impiegato postale.

— E chi c’era?

— Il dottore, sua moglie, il figlio dell’oste, due ragazze Cacciamali....

L’occasione era favorevole, sulle labbra della fanciulla bruciava il nome di Cecchino: ella non aveva parlato del ballo che per giungere a parlare di lui; voleva dir tutto, tutto alla mamma. Ma quel nome non uscì. Due o tre sforzi ancora rimasero infruttuosi; un nodo inesplicabile le stringeva la gola, e il cuore le batteva disordinatamente.

— Tuo padre è di cattivo umore; non te ne sei accorta? Gli interessi vanno male.