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Un idealista


lute, rispondere e credevo proprio che tutto fosse finito.

Invece mi giunsero, con un crescendo di fermezza che dimostrava una fede sicura e un carattere tenace, due numeri della Gazzetta Letteraria (24 e 31 agosto 1889) contenenti una novella intitolata: Speranza triste e firmata Alberto Sormiani. Scrivo colla maggiore semplicità, con una schiettezza intera, perchè mi pare il solo modo degno di parlare di lui. Dirò dunque che la mia prima intenzione era di non leggere la novella e la lasciai infatti per due o tre giorni sul tavolino. Fu in un momento di ozio, di noia, di distrazione che la ripresi? Certo fu con somma indifferenza che incominciai a guardare le prime parole:.... «Che cosa è restato a questo mondo di donna Clara Sormani?» — Quando ebbi finito di leggere e che me ne stetti muta, coi giornali aperti sui ginocchi, una completa rivoluzione era avvenuta dentro di me. Vedevo forse per la prima volta sorgere da poche pagine scritte una vera anima ardente e aristocratica, delicata e sdegnosa — e così viva! L’ignoto che aveva bussato alla mia porta sotto un mantello di pellegrino si scopriva e mostrava le sue insegne regali.

Conosco senza dubbio altre novelle più leggiadramente composte, meglio soggette ai freni dell’arte, e neanche potevano sfuggirmi in questa Speranza triste le scorrettezze, le inesperienze, certe crudità, certi stridori di forma; ma come