Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
84 | Novelle gaje. |
— Nemmeno. Ci siamo incontrati, figurati, al cimitero, dove io porto ancora tutt’i mesi una corona sulla tomba di Beppino, quantunque l’anno di lutto sia già passato.
— E tu debba accingerti a nuove nozze col fratello di lui.
— Già.
— È una promessa fatta al letto di un moribondo; non puoi infrangerla.
— E chi ci pensa; mia cara? io sono dispostissima a sposare mia cognato. Ragioni di famiglia e di interesse mi vi spingono; una promessa, come tu dici, mi lega — ebbene lo sposerò. Non è guercio, non è gobbo, non m’ispira nessuna ripugnanza; amore... ah! questa è un altra faccenda. Sai bene che io non so amare, non voglio, non potrei neanche. Dopo le fanciullaggini fatte per Emanuele dieci anni addietro, vere fanciullaggini da educanda che oggi mi muovono il riso — io non ho mai provato nè un palpito nè un desiderio. A che pro? Poichè l’amore è una illusione, poichè è un miraggio lusinghiero e falso, che non mantiene nessuna delle gioie che promette, poichè muore prima di noi e non ci fa felici — queste sono cose che tutti sanno — a che prò amare? No, no, no — (aveva riposte le braccia sulla spalliera della poltrona e vi dondolava su la testa) — amore non mi piglia!
— Dicevi...
— Ah! sì, devo raccontarti l’incontro con Emanuele. Al cimitero dunque; tornavo dalla tomba di mio marito; lo riconobbi subito. Mi salutò gravemente, nè io vidi alcun male a fermarlo per chiedergli noti-