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Divina gioventù. 81


Ebbene, no; era Oreste in persona.

— Che diavolo fai! — esclamò Ciro Garzes.

Oreste si rizzò nel bel mezzo delle patate come una statua sul suo piedistallo e tese le braccia all’amico con una spontaneità veramente fraterna; ma gli mormorò nell’orecchio:

— Avresti potuto dire diacine... davanti alle signore!

Si scusò poi a proposito delle patate; disse che in campagna non si sa come occupare il tempo, che si diventa coltivatori per forza, salvo a restarvi per amore.

Ci volle mostrare i suoi possessi, e girando qua e là trovò modo di soffiare un paio di volte il naso al suo quartogenito.

Aveva un fare bonario e mite; seppi che era cancelliere della parrocchia e se in giorno di domenica trovava qualche giovinotto a zonzo, lo mandava alla dottrina e ai vesperi.

Avendo Ciro Garzes fatto allusione alla loro vita di studente, Oreste lo interruppe:

— Mia moglie è molto rigida in fatto di discorsi... te ne prego...

Io dissi:

— Mi pare che una volta ella fosse poeta!

— Oh Dio, no! — rispose tutto confuso.

— Ma sì? — saltò su la signora — non hai scritto quel bel sonetto per l'onomastico del parroco?

Ci offersero di restare a pranzo «quantunque fosse di magro»; nessuno di noi accettò, nemmeno Ciro