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80 Novelle gaje


Seguì la presentazione alla buona e tutti insieme entrammo nel salotto terreno dove i cani, il gatto e le galline ci seguirono, dando prova di avere molta dimestichezza con tutti gli angoli della casa.

Mi aveva colpito il nome di Oreste e domandai piano a Ciro Garzes se si trattava del bell’Oreste, l’Oreste vivace e scapigliato, suo maestro un tempo, l’Oreste che mi era restato impresso nella memoria colla sua figura marziale, gli occhi lampeggianti e il cappello sulla nuca; l’Oreste infine che aveva cantato:

Bacio di donna e nettare di vino.

— Appunto — rispose il mio amico.

Dietro proposta della signora pigliammo tutti la via dell’orto; con una certa curiosità io mi preparavo a vedere l’eroe della collina.

Un uomo che poteva avere quarantanni, ma che ne dimostrava almeno cinquanta, stava ammonticchiando delle patate in un solco. Non era un contadino. Aveva un bel paio di pantofole ricamate a punto in croce e una callotta di seta verde all’uncinetto.

Era alto, scialbo, un po’ curvo nelle spalle, con una barba molto grigia e molto trascurata; sulla fisonomia gli si leggeva la calma di una vita contemplativa, placida e raccolta, senza emozioni.

Pensai fosse uno zio — ne aveva tutte le apparenze — uno di quelli zii celibi che nelle famiglie viziano i ragazzi e aiutano la mamma a preparare le conserve, che fabbricano i cavallucci; di carta per il piccino e conducono a messa il maggiore. Un fratello d’Oreste probabilmente.