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Divina gioventù. 77


stra grande avventura, dopo aver cercato inutilmente un segno, un’orma dei fuggitivi — avesse ella almeno perduto una pianella, come Cenerentola! —pensammo di tornare alle nostre famiglie, dove, senza alcun dubbio, si era in pensiero per noi.

Nello scendere la collina ci parve di sentire una certa resistenza nel polpaccio delle gambe e un certa senso di pesantezza alla fronte, che poteva ben essere l’effetto di quei liquidi topazi generosamente prodigati da Camaralzaman.

Narrato il fatto ai parenti ed agli amici, trovammo, pur troppo, degli increduli. Si pretendeva che il solo mago dell’avventura fosse l’aleatico, alla quale prosaica insinuazione Oreste ed io ci opponemmo energicamente.

Lessi, per prova, i versi di Oreste; ma tutti furono d’accordo nel dire che quei versi non provavano nulla in favore della pagoda, che non erano affatto versi turchi, ma semplicemente versi sbagliati.

Ci misero in canzone, si beffarono di noi, tanto che, vi confesso, il dubbio si insinuò a poco a poco nel mio spirito. Sì, io finii col non essere più sicuro della mia opinione e da allora guardai sempre l’aleatico con diffidenza...

Ma ora li avete veduti anche voi! Li avete pur veduti i due misteriosi amanti, che dopo tanti anni portano ancora per il mondo la loro costanza e il loro segreto.

Che cosa devo concludere? Le mie idee si confondono. Al postutto, rifletto che vi sono tante cose senza conclusione in questo nostro globo terracqueo — non