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74 | Novelle gaje |
zarra, perciò io tentai di alzarmi; ma un tremito che attribuii all’emozione mi paralizzava le gambe.
Camaralzaman tornò a far colare i topazi rutilanti nel grembo cristallino della coppa; mi sembrava di vedere ogni goccia del liquore ridere e saltare dentro gli orli dorati e vi fu un istante nel quale avrei giurato che la bella fata si trovasse in fondo al mio bicchiere col suo liuto, i suoi fiori e i suoi capelli disciolti...
Oreste improvvisò dei versi.
Mi parvero tanto belli nell’udirli recitare da lui col Falerno in mano — assicuratevi che era Falerno — in quel tempio d’orientale mollezza, tra i profumi del sandalo e delle rose, che li notai subito per memoria.
Canta poeta, canta cherubino, |
La camera girava. Le ampie tende di damasco sembravano contorcersi in una ridda frenetica; danzavano i cuscini sulla stuoia del pavimento e la lampada si cullava appesa al suo chiodo di ottone come una sultana nell’amaca.
I fiorami gialli del soffitto diventarono pavonazzi e avrei giurato che il piccolo divano azzurro non era più un divano coperto da una pelle di tigre, era proprio una tigre vera sdraiata sulle quattro zampe.