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Divina gioventù. 65


Oramai la strada per ritornare a B*** la sapevamo, ma quale fu la mia sorpresa nel vedere che Oreste si ingolfò risolutamente nella via che conduceva alla collina!

Lo chiamai; egli si voltò.

Effetto bizzarro! Mi sembrava che diventasse più alto e più grosso tutte le volte che lo guardavo; i suoi neri capelli un po’ lunghi gli coprivano abbondantemente la testa, all’estremità della quale l’ampio cappellaccio si reggeva con un miracolo d’equilibrio di cui Oreste si mostrava molto fiero.

— Dove vai per di lì?

Egli tese il braccio silenziosamente verso la collina.

— Sei matto?

— Non lo so. Voglio scoprire il mistero. Vieni?

Un minuto di riflessione; nemmeno, un secondo, tanto è pronto l’entusiasmo in quell’età — e risposi deciso:

— Vengo.

Oreste mi regalò un pugno di soddisfazione per farmi dimenticare quell’altro che era stato di disapprovazione.

Li notai a suo credito, per l’equità dell’amicizia.

Intanto Oreste diceva:

— Che bel capitolo di romanzo! «Era una notte d’autunno; splendeva la luna sui colli sabaudi (per il momento non splende, ma i lettori non sono qui a vedere) due giovani...»

— Sì — lo interruppi — il principio è romanzesco, ma come sarà la fine?

— Qui sta il bello; poichè nemmeno l’autore non ne sa nulla.