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56 | Novelle gaje |
da viaggio un calmante e s’era applicato un senapismo alla nuca per tirare abbasso, com’egli diceva, i vapori che gli salivano al cervello.
Stettimo insieme poche ore, durante le quali non ebbi agio di chiedergli spiegazione alcuna.
Sul punto di separarci egli mi disse:
— Non ho potuto raggiungerli, sapete? No; mi hanno fatto rompere il collo (voleva dire senza dubbio il collo del piede) su e giù per quei maledettissimi sassi bergamaschi, e tutto ciò senza costrutto. Comincio a credere che sia proprio una visione, una fantasmagoria che mi perseguita, un caso di pazzia ragionante... Che ve ne pare?
— E che ne so mai io! Siamo in viaggio, si parla di gioventù, di cose passate, di organetti e di campanari; dobbiamo andare a Verona, voi ci avete una causa ed io un’amica ammalata; sembrava il viaggio più semplice di questa terra; ed ecco che mi diventate improvvisamente una specie d’energumeno, forzate lo sportello, rovesciate un bimbo, dimenticate gli occhiali non mi salutate nemmeno e via di corsa. Vi domando un po’ che ne posso sapere io?
— Ma non avete visto quella carrozza?
— Sì, l’ho vista.
— E lui? E lei?
— Tutti e due. Sembravano un’incisione delle Mille ed una notte; lui somiglia al principe Camaralzaman, lei alla principessa Badrulbudur; aveva dei bottoncini alle scarpe che luccicavano come diamanti. Ma conoscete voi quelle persone?
Ciro Garzes si prese la testa fra le mani.