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Divina gioventù. 53


— Sì, il denaro è una forza; l’amore, l’ambizione, l’ingegno anche, tutte bellissime cose, ma chi mi rende la mia gioventù! Quando cantavo a braccetto d’Oreste, sfrondando le viti e facendo rotolare i sassi:

Per noi che siamo giovani
I pensieri sono tre:
II pensier dell’amorosa,
Il sigaro e il caffè.

E non l’avevamo neppure l’amorosa, almeno io. Oreste non so... Ah! ora che mi ricordo, faceva la corte a una bella lavandaina di quattordici anni; non si erano mai parlati, ma egli le dedicava dei versi e passandole accanto quando lavava al torrente lasciava cadere nell’acqua il suo bastone. Tempi felici! Dite quel che volete ma io ripeterò sempre: tempi felici!

Sospirò; mise la testa nell’angolo e parve sprofondarsi nelle proprie reminiscenze.

Io frattanto guardava attraverso i vetri il panorama di Bergamo, bianca in mezzo ai monti azzurri.

Il treno tornò a fermarsi.

Ad un tratto il mio amico gettò un grido; ma un vero grido come quelli delle attrici nei melodrammi e prendendomi una mano con forza balbettò:

— Osservate... là... là...

— Ebbene? Io non vedo nulla di straordinario. È una cometa? un’ecclissi? Spiegatevi.

Dunque non fu un sogno! — esclamò Ciro Garzes senza più abbadare a me e spingendosi con tanta violenza fuori dello sportello che temetti sul serio diventasse pazzo.

— Insomma, si può sapere che c’è? Mi fate paura.