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50 | Novelle gaje |
poco reverente, li lazzi sorbi erano il curato, la perpetua e il sagrestano. Oreste ed io avevamo uno stomaco eccellente per digerire i fichi, quantunque gli almanacchi igienici e i trattatali di scienza per il popolo avvertano essere questo il più indigesto dei frutti; io in quel tempo non me ne sono mai accorto.
Ma ben presto invece si accorse il sagrestano di quella tal breccia nel muro e ne fece un baccano del diavolo, la qual cosa, per un uomo che frequentava la casa di Dio, ci parve così sconveniente, ad Oreste e a me, che decidemmo di fargli una burla per inculcargli la tolleranza e l’amor del prossimo. Trovato modo di penetrare nell’usciolo del campanile, ci collocammo in modo da abbrancare la corda e tirarla colle nostre due forze riunite proprio nel momento che il sagrestano l’aveva pigliata per suonare le campane... Vi rappresentate bene la situazione? Il poveraccio, balzato improvvisamente nelle alte sfere, si dondolava al capo della fune e si contorceva in sì strane pose che noi contemplandolo a volo d’uccello non potevamo trattenere le risa.
— Monelli!
— Sapete che quell’età è senza compassione; lo disse il poeta, ed è vero. Io però feci osservare ad Oreste che la burla non doveva eccedere i limiti dell’onesto. Egli mi diede retta e depose delicatamente al suolo la nostra vittima; pareva un grosso pipistrello caduto dal tetto.
— Ma non ebbe nessuna velleità di pigliare un crocifisso dall’altare e picchiarlo di santa ragione sulle vostre teste balzane?