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Come la mia anima fu perduta alla grazia. 39


voluto recitare il rosario ginocchioni sul marmo della chiesa, erasi buscata un’artritide che l’aveva messa in letto.

Zaccarone le leggeva, per distrarla, le vite dei Santi. Don Edoardo e don Sulpicio continuavano a bisticciarsi per san Pietro e per sant’Agostino, per Roboamo e per Geroboamo.

Io restavo solo colla vedovella ad attizzare il fuoco... del camino.

Sotto pretesto che il Manuale per la sua stampa sottile mi affaticava la vista, non lo aprivo più; sotto pretesto che i digiuni peggioravano la mia salute, mangiavo con Giannina e bevevo tutto il vino che ad essa piaceva di versarmi; con altrettante scuse soppressi le veglie, le meditazioni, il cilicio.

Ma siccome qualche cosa bisognava pur fare nelle dodici ore del giorno, Giannina mi parlava di Milano, della società, dei teatri, della vita e dell’amore. Mi fece imparare il walzer, ballavo con lei tutte le sere e non rattenevo più i lembi della mia tonacella.

Un giorno Giannina scoperse nella mia voce il re-mi; detto fatto: m’insegnò a cantare. Norma, Traviata, Trovatore, Barbiere furono altrettante rivelazioni per me. Cantavamo insieme, con una leggerissima variante:

Tu sai ben che all’età nostra
Suol venir la frenesia
Che provò la mamma mia
Quando vide il mio papà.

Batti e ribatti questa solfa, la sentimmo proprio noi, la frenesia!