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34 | Novelle gaje. |
radici; per tal modo i nostri occhi non si incontravano.
— Cugino, sono stanca, vi spiacerebbe sedere un istante?
— Sedete voi, signora, io vi aspetterò in piedi.
Ella sedette sospirando, e siccome trovavasi rimpetto a me proprio nell’asse de’ miei sguardi, io alzai prudentemente la mano. Nuovo sospiro da parte sua, accompagnato da queste parole:
— Cugino, voi mi odiate!
— Signora, io non odio che il peccato.
— Per lo meno non mi amate, cugino!
— Signora, io non amo che Dio.
— Non mi guardate neppure!
— Dio consiglia di fuggire la concupiscenza degli sguardi; e voi, signora, mi cagionate già bastanti distrazioni.
— Piacesse al cielo, ma non me ne accorgo affatto! Intendete forse parlare delle virgolette segnate in margine alla canzone? Se sapeste! Ieri appunto compiva l’anno che il mio Giulio disse di amarmi, eravamo in giardino, sotto un viale, non di platani, no, d’ippocastani, tramontava il sole così, come adesso, fra quelle nubi di porpora e gli uccelletti cantavano fra i rami!... Ah, Torquato, se sapeste!
— Signora, io non voglio saper nulla.
— Lasciatemi allora ripetere col beato de Liguori:
Dove, mio ben, tu sei? |
— Signora cessate, ve ne scongiuro.