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Come la mia anima fu perduta alla grazia. | 29 |
in mano disposto a castigare la caducità de’ miei sensi, se non era il topo che mi interrompeva obbligandomi a dargli la caccia.
Per tre giorni consecutivi non mi mostrai alla vedova di mio cugino. Impiegai questo tempo nelle più sante e rigorose penitenze, nei digiuni, nel raccoglimento, nella mortificazione. Quando potei giudicare di essere abbastanza fortificato alla grazia divina, essendo la natura umana da sè sola imperfetta, ripresi l’arduo cammino sul quale il Signore ne’ suoi imperscrutabili decreti aveva fatto smarrire una pecorella; ma perchè dare a me l’incarico di ricondurla all’ovile?
— Cugino, vi ricordate del nostro incontro dell’altra sera?
— Anzitutto vorrei pregarvi, signora, a non chiamarmi cugino; questa parola accenna vincoli di sangue e di carne; è un peccato per me. Poi vi avverto che io non ricordo nulla delle cose materiali.
— Ve le rammenterò io; bisogna bene che giustifichi quella mia passeggiata notturna.
— Giustificatevi col Signore, io non c’entro.
— Per esempio: vorrei sapere se fu il Signore che mi scompigliò i ricci e fu causa che il mio velo si rompesse in due luoghi.
— Signora, mi meraviglio che mi diciate simili cose.
— Preferite accertarvene coi vostri occhi? guardate.
Ah! che orrore, ella rideva come se fosse il dialogo più semplice di questo mondo, ma io tenevo sempre la mano alzata.