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292 | Novelle gaje. |
tutto e andò proprio a mostrare la sua chiglia, non alla luna, ma a un lieve raggio di sole che appariva in quel momento squarciando le nubi.
Il barcaiuolo fu preso a bordo da Patrizio e l’infelice guscio rimorchiato a poppa rifece vergognoso la via già fatta.
Ceduti i remi, Patrizio si occupò tutto del suo giovane amico. Il primo pensiero era stato di sgridarlo per l’imprudenza commessa, ma poi vedendolo lì inanimato che non dava nessun sentore, la compassione la vinse sul risentimento, e sedutolo sulla panchina ne sorresse il capo sui proprii ginocchi.
I lunghi capelli castagni che Gildo soleva portare molto avanti, gli cadevano allora scomposti dietro le orecchie mettendo a nudo una fronte pura, bianchissima, solcata da piccole vene azzurre; la bocca semichiusa aveva una grazia infantile. Patrizio gli sciolse la cravatta e vide con meraviglia la linea del collo rotonda e graziosa come quella di una donna.
Patrizio si arrestò colpito da un’idea strana. Intanto il temporale era cessato: il fiume ridiventava tranquillo; la barca ondeggiava con mollezza sulle acque ancora frementi.
Gildo non rinvenne.
Patrizio gli prese le mani, le sentì fredde e se le accostò alle labbra per riscaldarle col proprio fiato. Non le aveva mai guardate; erano mani piccole e fine, morbidissime. Sollevò il manichino della camicia e scoperse il principio del braccio.
Una vampa ardente salì dal cuore di Patrizio al suo cervello. Quella testa abbandonata che riposava