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Patrizio. | 283 |
neree; i bicchieri danzavano sul desco frequentemente percosso; il gas oscillava su tutte quelle giovani fronti lumeggiando le capigliature arruffate, liscie, crespe, brune, bionde — più bionda di tutte quella di Patrizio che aveva dei riflessi da aureola.
Gildo tossì una o due volte e rimosse la sua sedia. Nessuno si occupava più di lui.
La parola l’aveva Patrizio.
— Ch’io possa diventare benedettino e farmi canonizzare dopo morte se mai e poi mai mi venne in mente di avere uno zio.
— In America?
— No, in Inghilterra. Un originale che non ho mai visto e che è morto qualche mese fa lasciandomi i suoi milioni.
— Simpatico originale! Così avesse molte copie; ne reclamerei una per me.
— Compreso il codicillo? — disse Patrizio scuotendo sull’orlo del tavolo la sua pipa spenta, — Perchè c’è un codicillo, amici carissimi; e tu, Augusto, che volevi sapere da quel povero ragazzo che cosa è l’ipotenusa, dimmi un po’ che cos’è il codicillo di mio zio?
Augusto non lo disse e Patrizio continuò:
— Pare che lassù in Inghilterra il mio ottimo parente abbia avuto in qualche modo una figlia, e la condizione esplicita dell’eredità è che io me la sposi per riunire in un ceppo solo i rampolli superstiti delle due famiglie. Bella, nevvero? La cuginetta avrà trent’anni almeno, i piedi lunghi, i denti sporgenti, una veletta verde e voglio perdere l’amore della mia cappellaia se non dirà schoking solamente a vedermi.