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278 | Novelle gaje. |
Attraversò il ponte; non si vedeva luna; la notte era buia e fredda. Patrizio fischiava sempre:
La coppa di Pippo,
La pippa, la poppa,
Il nappo che accoppa
Le pene del cor.
Una finestra si schiuse in una viuzza deserta. Patrizio si fermò; anche l’ombra si fermò dieci passi lontano. Non si udiva uno zitto: ma sembrava che Patrizio aspettasse qualche altro segnale, perchè se ne stava immobile colle braccia conserte.
Improvvisamente sbucarono fuori, sa il diavolo da dove, tre robusti giovinotti che circondarono subito Patrizio, menando giù botte senza parlare.
La scena in sè stessa non riusciva del tutto nuova al nostro Don Giovanni che, appostatosi al muro, si preparò a una valorosa difesa, ed ebbe anche tanto sangue freddo da staccare un mazzolino dall’occhiello del suo soprabito e gettarlo su nella finestra sotto gli occhi de’ suoi aggressori — mariti, amanti o fratelli che fossero.
L’ombra mingherlina tutta sbigottita e tremante strisciò per un momento contro il muro, ma vedendo che la lotta continuava si slanciò all’impensata, gridando e agitando le braccia.
Patrizio intanto s’era ridotto colle spalle contro una porta; la faccenda si disponeva piuttosto male per lui; i tre sconosciuti sembravano decisi a tutto, quando l’ombra, guizzando leggera e inavvertita fin presso Patrizio, aperse improvvisamente la porta contro la quale egli stava appoggiato e ve lo trascinò dentro,