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270 | Novelle gaje. |
sguardi non v’era ombra d’offesa, non v’era che una meraviglia mista a tenerezza.
Dal canto suo la fanciulla si trovò quasi magnetizzata sotto quello sguardo che le rammentava improvvisamente tempi così lontani...
— Signora... balbettò lo sconosciuto. Nè potè aggiungere altro.
Anna fece per uscire; già la sua mano posava sulla cortina dell’uscio, quand’egli trattenendola con un gesto supplichevole disse:
— Signora, io devo chiederle perdono se una strana rassomiglianza...
Anna gettò un grido. Quella voce, quel sorriso, quel lampo degli occhi, oh! non poteva ingannarsi... era lui!
— Maurizio! gridò.
Maurizio era già nelle sue braccia. Quanta gioia in quell’amplesso, quanto compenso ai lunghi e malinconici anni trascorsi.
Come si guardavano! — trovandosi un po’ mutati, è vero, ma sempre l’uno all’altro cari.
Si ridissero tutte le loro pene ed ognuna di esse cancellarono con un bacio.
Ripescarono nel gran mare dell’oblio tutte le pagliuzze, tutti i fuscelli e i fiorellini che avevano servito a tessere il loro nido d’una volta — ora lo avrebbero rifatto quel dolce nido d’amore e giurarono scambievolmente che nessuna forza umana li disgiungerebbe mai più.
Quel gabinetto era per loro ai confini del mondo. Non pensarono neppure che a pochi passi, una società gaia e spensierata, danzava sorbendo dei gelati e recitando dei calembourgs.