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Un matrimonio di progetto. 267

— Il fine giustifica i mezzi, mio vecchio amico. Quando vedrò la mia Anna felice non mi parrà di aver fatto troppo.

— Molto più che con questa vittoria piantate bandiera nel nuovo mondo! esclamò il vecchietto con malizia — e la signora B. rise più forte di prima.

Anna intanto (la fortunata o la povera Anna?) sedeva in disparte soletta e pensierosa.

A vederla così meditabonda, pallida in viso, l’occhio errante, malinconico e un tutto insieme di sofferenza, di prostramento e di dolcezza impossibile a dirsi, appariva veramente bella; ma non come quindicenne giovinetta che move spigliata incontro alla vita, veggente di fantasia e cieca di cuore. — La sua era la bellezza molle e cascante d’una rosa sbocciata, quando il sole che l’ha arsa la bacia de’ suoi più vividi raggi. Sul volto di Anna si leggeva tutta una storia d’amore e di sacrifici.

Sì, ella aveva commesso il grave errore di amare senza informarsi prima quanto costano gli alloggi, il pane, la carne e la scuola dei bimbi — e se tutto ciò corrispondeva ai mezzi di fortuna del giovanetto che le aveva rubato il cuore.

Queste sorta di errori non si fanno impunemente.

Dopo aver sciupato una risma di carta e di fazzoletti, un mare d’inchiostro e di lacrime; dopo aver cercato insieme per le vie del cielo la stella del nostro amor; dopo essersi buscate parecchie infreddature, di sera, al davanzale della finestra come Giulietta, o coi piedi nell’erba umida come Romeo; dopo aver ripetuto le mille volte per proprio conto le poesie di