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Don Esteban. | 255 |
santa religione aveva imparato il modo di ridere senza allargare la bocca e di girare al di sopra del suo libro da messa l’occhiata assassina.
Cresciuta nel culto fervoroso di Nuestra Señora del Pilar, coltivava egualmente bene i romanzi francesi e le ariette più in voga della Fille de Madame Angot.
Ranicchiata come un cherubino nel suo letto da educanda, dopo aver recitato le preghiere della sera e dato un bacio tutto ascetico al Cristo d’avorio appeso sotto il baldacchino, doña Sol pochi mesi prima di uscire dal convento pensava con qual abito avrebbe fatta la sua comparsa nel mondo e se lo scollo quadrato piuttosto che il grande scollo era da preferirsi per far risaltare sapientemente e pudicamente insieme le nevi del «casto seno.»
E poi doña Sol pensava alle occhiatine tenere, ai discorsetti galanti, al primo amore così poetico sempre e spesso così infelice. Ella si sentiva tutte le vocazioni di Rosina, al punto che se un barbiere le fosse venuto accanto nel buio coro del convento, mentre inginocchiata sul marmo recitava le litanie della Vergine, e le avesse chiesto corrispondenza d’amore per Almaviva, la cara fanciulla avrebbe subito risposto tra un: Virgo purissima e un Virgo immacolata,
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e lo avrebbe tirato fuori, scommetto, piegato in quattro dalla sua modestina inamidata.
E dopo tante rosee e romanzesche illusioni, dopo aver sognato le scale di seta, le fughe, i travestimenti, doña Sol fu contrariata non poco quando al suo uscire