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DON ESTEBAN.



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n morello arabo puro sangue, testa piccola, grandi occhi, gambe nervose, usciva in una bella sera di maggio dalla Puerta de Alcalà e lasciandosi addietro i giardini madrileni galoppava, galoppava, verso le campagne profumate d’aranci, al lume della luna.

Il cavaliere che gli stringeva con maschia energia il ventre sottile e rilucente, e cogli sproni d’oro gli vellicava la pelle delicata, era certo un gentiluomo; e l’ampio mantello, agitato dal vento, gli dava l’aspetto fantastico di nave in burrasca.

Portava un cappello di feltro a larghe tese, la mano destra inguantata era ferma alle redini e la sinistra celata sotto il mantello (dove quando l’aria mossa dalla rapida corsa cedeva un istante, si disegnavano gl’incerti contorni di un oggetto nascosto.)