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16 | Novelle gaje. |
questa credenza, lasciate che vi esponga la mia: cioè che don Sulpicio fosse un po’ parente delle lucertole e dei ramarri; la stessa pelle, le stesse gambe, gli stessi occhi tondi e freddi, lo stesso modo di camminare strisciando, lo stesso orecchio attento e pauroso, lo stesso piede veloce alla fuga: ah! nessuno me lo cava dalla testa, don Sulpicio era un lucertolone che tentava di congiungersi alla razza umana.
Che facesse poi anche delle esperienze sul propagamento della specie, questo non ve lo posso affermare; c’è campo libero alla supposizione. Bilioso, irascibile, mordace, non ho mai compreso perchè si tenesse tanto caro quel buon uomo di san Pietro, messo a guardia del paradiso appunto per la sua tolleranza e facilità di chiudere un occhio; ma lo faceva forse unicamente per dispetto del suo collega.
Ora che conoscete i quattro punti cardinali a’ cui venti si schiuse la mia infanzia, vi parlerò un poco di me.
Come m’avesse formato la natura nel grembo della mamma mia, io non so veramente. So che, allevato e cresciuto in un’atmosfera tutta santità, mi piegai senza sforzo e senza lotta all’influenza dominante. Innamorato dapprima delle belle immagini dorate e dei crocifissi di piombo dipinto; poi delle cotte bianche a merli finissimi che la zia mi adattava sulle spalle appuntandole con una rosetta azzurra; poi del fumo dell’incenso che sorgeva in fragranti vapori dai turiboli d’argento e con passo gigantesco entrando nelle gioje contemplative delle letture ascetiche, le canzonette del beato Alfonso de’ Liguori, i salmi esaltati di Davide, le orazioni appassionate di sant’Agostino, i deliri di