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246 | Novelle gaje. |
stanza per prenderselo sotto il braccio e Beniamino lasciò fare con molta buona grazia.
Si constatò che il calzolaio teneva in mano un ferro del suo mestiere; tutte quelle cirenee andavano a gara per sostenere di aver veduto il colpo, era un modo qualunque per mettersi in iscena — la servetta soggiunse, che il povero giovinetto sembrava un agnello nelle branche del lupo... insomma, a farla corta, l’indomani Beniamino sporgeva querela contro l’aggressore; la ferita esisteva, i testimoni anche. — Il portinaio fu condannato a pagare quindici lire d’indennizzo; e Beniamino, mettendo dell’acqua ed aceto sulla sua ferita, calcolava per quanti giorni avrebbero bastato quelle quindici lire.
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Il bambino intanto cresceva bello e gentile come la sua mamma. Beniamino lo conduceva spesso a prender aria — è la sua espressione — la giovine madre era tranquilla durante quelle assenze, perchè sapeva la sua creaturina in buone mani. Ma Beniamino, sempre fecondo di risorse, immaginò di dare uno scopo a quelle passeggiate e conciliare, se fosse possibile, il diletto coll’utile — massima che Beniamino non aveva imparata da Orazio, certamente!
Senza un progetto ben determinato, ma con una vaga speranza di buon successo, Beniamino portò un giorno il piccolo erede alla bottega del nonno salumaio; girellando intorno ai limoni, mostrando al bimbo le salsiccie, che disegnavano ghirlande e co-