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226 | Novelle gaje. |
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— O Dio! Beniamino, cosa direte di noi che ieri vi abbiamo lasciato a quel modo?
Il suono di questa blanda vocina fece discendere il nostro eroe dalla finestra e lo trasse a contemplare la sua giovane padroncina, che si alzava in quel punto tutta assonnata ancora, coi capelli svolazzanti in riccioli trattenuti a mala pena da un nastro azzurro.
— Ma io ho dormito egualmente, sa? rispose Beniamino con una crollatina di spalle piena di filosofica rassegnazione.
Valentina girò attorno i suoi begli occhi ed espresse meraviglia insieme e piacere del nuovo aspetto in cui trovava la camera.
— Siete molto abile, Beniamino! Io, a dir vero, non mi intendo molto di ordine domestico e poi (chinò le palpebre arrossendo) mi sento così poco bene!
Beniamino osservò allora che la vita di quell’amabile creatura era un po’ più voluminosa di quanto comportasse la sua eterea bellezza.
Arrossì anche lui, e dominato da un certo imbarazzo, si grattò l’orecchio, per darsi un contegno.
Comparve in quel momento Roberto, che gettò per primo un tenero sguardo alla sua sposa, quasi non si vedessero da una settimana, poi ammirò il lavoro di Beniamino, e tornando a guardare Valentina, esclamò:
— Siediti, amor mio: a stare sui due piedi potresti soffrire, hai dormito poco stanotte.