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218 | Novelle gaje. |
— Eh? che ne dici coscritto?
— Mi piacerebbe a fare il pagliaccio, rispose candidamente Beniamino.
Compar montagna uscì in una delle sue risate fragorose e domandò al giovinotto se voleva tenergli testa davanti a una bottiglia di birra.
Beniamino accettò, senza un pensiero al mondo dei quattrini che potevano restargli in tasca.
Bevette e rise col soldato ciarlando di molte piacevoli avventure finchè suonò l’ora della ritirata.
Questo per Beniamino fu un momento melanconico, ma lo rallegrò la promessa che gli fece il granatiere di trovarsi l’indomani al medesimo posto.
Si separarono con una poderosa stretta di mano e Beniamino restò solo sulla spianata del castello.
Era notte.
Le brigatelle avevano lasciato i prati erbosi e solo scorgevasi in lontananza qualche solitaria coppia che andava a smarrirsi fra gli alberi.
Beniamino domandò a sè stesso se non avrebbe dormito saporitamente su una di quelle panchine ombreggiate dagli ipocastani in fiore.
Non v’era dubbio ch’egli si sarebbe trovato per lo meno così bene come nel suo letto di foglia, e per di più il padiglione del cielo tutto azzurro e stellato.
Beniamino si coricò ponendo il fardello sotto il capo e il cappello sulla faccia.
Il suo amico granatiere gli aveva detto che dormendo si può sognare la corona e la tiara — egli, più modesto, sognava un campicello di belle rape pavonazze e stava appunto riempiendo il grembiale