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212 | Novelle gaje. |
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Non posso affermare che baciando la terra il mio eroe esclamasse come Bruto: — Ti saluto o madre! — Ma forse il suo pensiero non era molto dissimile e, quello che è certo, si alzò prestamente col sorriso sulle labbra come nulla fosse.
Doveva ritornare al suo paese?
Per quel giorno la barcaccia non partiva più e Beniamino non pensò neppure alla strada ferrata.
D’altronde non gli dispiaceva, dacchè trovavasi in Milano, vedere un po’ cosa c’era di bello e prender nota dei costumi cittadini.
S’avviò dunque, senza fretta e senza pensieri, allo sbocco principale della piazza, guardando tutti i negozi, fermandosi prudentemente quando passava una carrozza, leggendo le insegne e accarezzando i cani che gli attraversavano le gambe.
In tal guisa si trovò, passato il mezzogiorno, su di una vasta, spianata dove case, alberi, teatri, un castello, un’arena, un mercato e un arco trionfale parevano gingilli da poppattola.
Beniamino fece sosta ammirato e domandò a qualcuno se da quel posto si vedeva l’Adda.
Gli fu risposto che no.
Beniamino tirò un sospiro, ma fece presto a consolarsi guardando una baracca di legno quasi totalmente coperta da un cartello, sul quale un artista incompreso aveva disegnato un uomo in pantaloni rosa e farsetto verde; quest’uomo teneva con ambe