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210 | Novelle gaje. |
ognuna di quelle botteghe aveva gradini, acciughe, salsicciotti e limoni.
— Ma — pensò giudiziosamente il nostro avventuriere — la combinazione precisa della piazza e della chiesa sarà quella che mi leverà d’impiccio.
E così fu.
Giunto alla piazza di cui sapeva il nome, gli si parò subito davanti una bottega da salumaio, come si saranno usate ai tempi di S. Ambrogio e come se ne vede ancora qualche reliquia nei quartieri più popolari.
Una grossa comare, pettinata in bandò sotto una cuffia di tulle a nastri verdi, presiedeva al banco dignitosamente seduta su una poltrona di pelle, dava e riceveva i denari, mentre il marito serviva gli avventori, coadiuvato da due giovinotti in manica di camicia.
Beniamino si fece avanti.
— Lardo a te, bel ragazzo? — domandò uno dei giovinotti.
— Nossignore, voglio parlare col padrone.
Il padrone alzò gli occhi.
— Che vuoi?
— Io sono Beniamino Fenoglio.
Pronunciando il suo nome egli credeva di veder spalancarsi le braccia del salumaio e balzare in piedi la sua degna consorte. Ma non accadde nulla di tutto ciò; anzi il salumaio soggiunse:
— Chi sei?
Beniamino allora incominciò dalla genesi e si fece a descrivere i suoi vecchi genitori quando parlavano