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206 | Novelle gaje. |
guivano tra il verde tenero dei cespugli, Beniamino prese una risoluzione.
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Finchè erano vissuti i suoi genitori egli aveva sempre sentito parlare di un certo ragazzo, che sua madre aveva allattato, che era figlio di un salumaio di Milano, che si chiamava Robertino, aveva gli occhi neri e non voleva mai dormire nè giorno, nè notte.
La povertà estrema dei due vecchi li aveva trattenuti da una gita a Milano, ma la balia non poteva dimenticare il suo figliuoletto d’adozione e ne faceva tema di lunghi discorsi, di ricordi e di speranze.
Beniamino era nato qualche anno dopo e rammentava ancora una certa cuffietta a nastri azzurri, che aveva appartenuto a Robertino e che la balia non toccava senza prima lavarsi le mani. Se si mangiavano le castagne accanto al fuoco la buona donna non mancava di esclamare con un sospiro:
— Come piacevano a Robertino!
E Robertino, a proposito delle belle fragole rosse che lo facevano strillare allegramente. E Robertino, a proposito dei cavallucci di legno, che egli metteva in pezzi. E Robertino, a proposito di tutti i fanciulli di uno o due anni che guardavano estatici con due grandi occhioni su due guancie paffute.
C’era di che ingelosire Beniamino; ma Beniamino non era geloso; al contrario prese ad amare il suo incognito rivale, promettendo a sè stesso che un giorno o l’altro andrebbe a trovarlo.