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volte sospirando, che, se fossi morto allora mi avrebbero condotto al cimitero con una bara sormontata dal simbolico giglio!

La mia salute deperiva visibilmente; ero pallido, scarno, macilento; soffrivo al petto, digerivo male, trascorrevo le notti nell’insonnia, i giorni nella noia e nello sconforto. Mi sentivo prostrato di forze e disilluso sui piaceri della vita.

Nella mia gioventù una zingara mi aveva detto che camperei novant'anni — ora, la prospettiva di cinquant’anni ancora di quella stupida esistenza non mi lusingava affatto. Chiamai un medico:

— Dottore, mi sento male.

— Dove?

— Dentro, fuori e in ogni luogo.

— Il vostro male è come la presenza dello Spirito Santo.

— Colla diversità che non sparge su di me le rugiade celesti.

Il dottore sorrise e mi toccò il polso — guardò la lingua — ascoltò il cuore — picchiò sui polmoni e concluse:

— Caro signor Gregorio, volete un consiglio d’amico?

— Ci calcolo.

— Ebbene, prendete moglie.

Un lungo gemito uscì dal mio petto.

— Il rimedio non vi piace forse? Vi assicuro che non è disgustoso.

— Dite dunque che è dolce come la manna, dottore! Dite che è l’ambrosia dei mortali!