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190 Novelle gaje.


— Non vedo troppo come vi riuscirete caro mio!

— Ed io neppure: rispose Martino contemplando, malinconicamente i suoi stivali.

— È una cosa che preme?

— Assai. Una lettera da portare in posta.

Sovvengavi, lettori, che io mi sono accusato di avere buon cuore; non sarete dunque meravigliati se risposi al povero invalido:

— Ebbene, Martino, mi incarico io della vostra commissione; levatevi tranquillamente gli stivali.

— Davvero, signore! sarebbe tanto buono?

— Non voglio che ne dubitiate più a lungo; datemi la lettera.

Martino me la consegnò esultante e infilò rapidamente le sue ciabatte per correre ad aprirmi l’uscio.

Pioveva. Io mi trovavo senza ombrello e costeggiavo il muro per riparare tanto o quanto sotto la tettoia il mio cilindro che costava sedici lire. A pochi passi dall’ufficio Postale levo di tasca la lettera, onde essere pronto a gettarla nella buca; ma nel medesimo istante un giovinotto che inseguiva una sartorella mi urta bruscamente e me la fa cadere proprio nel bel mezzo d’una pillacchera. Che fare, domando io! La lettera sgrondava da ogni parte una poltiglia viscida e scura colla quale era impossibile mandarla al suo destino. Levando subito la sopraccarta potevasi risparmiare il foglio interno — ma, corbezzoli! il suggello di una lettera è sacro. Intanto la poltiglia pe-