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182 Novelle gaje.


— Resti servito.

Fui introdotto in una sala di modesta apparenza, dove vidi subito il capitano che seduto presso un caminetto spento giuocava al solitario.

Lo salutai civilmente, chiedendogli scusa di interromperlo nella sua interessante occupazione e gli esposi il movente della mia visita.

— Ah! è lo spillo di mia figlia — disse il vecchio seguace di Marte. — Francesca, osserva un po’ il tuo spillo.

Mi guardai attorno, curioso di sapere da dove sarebbe sbucata l’eterea fanciulla che alle larve più belle aveva detto addio: quando mi apparve dal fondo d’un paravento una persona, autenticamente massiccia, foggiata a modo d’una comare fiamminga o d’una buona massaia olandese; grosse guancie, grosso collo, grosse mani, tutto il resto grosso del pari e d’un rosso uniforme — non il rosso delle rose coi gigli, bensì quello del latte col vino.

È chiaro, dissi tra me, che se costei ha rinunciato alle larve della vita non ha però rinunciato alle costolette.

— Signorina, mi chiamo fortunato di poter renderle il suo spillo; forse ella ne era in pena...

— No signore — mi affretto ad affermare che io non sono di quelle donne

...che non san scordarsi
Della lor treccia e delle lor smaniglie.

Restai sbalordito. Poffare! Ella era un pozzo di poesia — direi meglio una credenza, un armadio.