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Una lezione di lingua tedesca. | 9 |
— Sì.
— E verrò a prenderti?...
— No, mio bene; non sarebbe convenienza... due domeniche consecutive!
Ammirai il suo prudente riserbo, ma non potei resistere all’idea di restare tante ore senza vederla e meditai una graziosa sorpresa.
Sull’imbrunire i Torni sono deserti; scavalcai senza fatica la siepe bassa del suo giardino e mi nascosi nel romantico boschetto, tempio di sì graditi misteri.
Udii sonare tutte le campane, udii i falchetti stridere rintanandosi sui greppi e l’usignuolo modulare tra i rami il suo invito all’amore; colsi tutte le rose del giardino e le sfogliai sul piccolo banco di legno dove Wilhelmine appoggiava il suo corpicino morbido; c’era nella ghiaia dei sassolini bianchi che io baciai pensando che ella li aveva sfiorati col lembo della gonna.
Finalmente udii la sua voce; non era sola — naturale — qualche vecchio zio o qualche cugino losco le avrà fatto da cavaliere. Ma i passi si avvicinavano. La voce chiara e simpatica di Wilhelmine pronunciò queste parole:
— Vieni! voglio mostrarti il mio piccolo giardino.
Pare una mania in lei!
I passi si avvicinarono sempre più ed io mi rimpiattai alla meglio dietro un cespuglio.
Vidi due ombre. La sua, bianca e vaporosa — l’altra, nascosta da un ampio cappello.
Proprio sul limitare del boschetto Wilhelmine esclamò con quel tuono languido che io conoscevo tanta bene: