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La pipa dello zio Bernhard. 173

cente e le parole aspre che si credeva in obbligo di pronunciare; Gretchen disposta tutta quanta all’indulgenza; Elisabet rialzandosi sfolgorante come un eliotropio che rivede il sole.

— Joseph Goldbacher — pronunciò il giovane senza iattanza, ma con un raggio di trionfo nello sguardo — io vi ho chiesto la mano di vostra figlia e me l’avete negata perchè sono un discolo, perchè non ho voglia di lavorare, perchè non so lavorare. È vero?

Il borgomastro accennò di sì.

— Ebbene, io non so lavorare ve lo concedo, ma sono qui per dimostrarvi che la volontà non mi manca. Sapete chi è venuto a portar via di notte la pipa dello zio Bernhard? Io. Sapete perchè l’ho portata via? Per copiarla; perchè credevo di potervi riuscire e darvi una prova della mia abilità. Mancai al còmpito, ma vedete, Joseph Goldbacher, che la buona intenzione c’era. Ora vi rendo la pipa dello zio Bernhard.

Il borgomastro la prese, la rimirò, riconobbe la macchia della radica, la perfezione della tornitura, la finezza colla quale era trattata la cannuccia di bosso e prorompendo nella più sonora, nella più omerica risata che avesse mai fatto traballare il suo grosso ventre, esclamò:

— Povero pazzo che credeva di eguagliare lo zio Bernhard.

— Convenite — ripetè il giovane — che il mio tentativo, benchè ardito, non mancava di un certo buon senso. Non mi avreste concesso la mano di Elisabet se io mi dimostravo così buon tornitore?