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166 Novelle gaje.


Trudchen riempì la tazza e se ne andò in cucina; prima per borbottare e poi per nascondere sotto il grembiale il più grosso dei schibling destinato al giovane Hans.

In proporzione inversa dei cibi che calavano nel suo stomaco, la facondia del borgomastro scemava; ed anche la sua collera non era omai più che una tristezza muta scioglientesi in grugniti gutturali.

Quanto a Gretchen, la buona creatura non poteva togliersi di mente che l’anima stessa dello zio Bernarth fosse venuta a riprendere la sua pipa.

Perchè una pipa potesse mettere tanto scompiglio in quella pacifica famiglia bavarese doveva essere per lo meno una pipa diversa da tutte le altre.

Ma non solo la pipa dello zio Bernhard si distingueva per la bizzarria della forma e l’accuratezza della fattura; essa aveva un merito ben più grande agli occhi dei Goldbacher.

Lo zio Bernhard, tornitore emerito, l’aveva lavorata per l’occasione importante del suo debutto nell’arte; quella pipa gli aveva valso il titolo di primo tornitore della città.

Era di una bella radica chiara sagomata in una foggia totalmente estranea, con profonde scanalature diagonali e sormontata da un arabesco in corno di cervo, dal quale si slanciava, attorcigliandosi in spire originali, la cannuccia di bosso. Dall’una all’altra estremità misurava un braccio abbondante e quando