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La pipa dello zio Bernhard. 163

cenno grazioso che voleva dire: coraggio! Poi sparve con aria affrettata e giuliva.

Elisabet, non sapendo cosa pensare e male accordando la felicità del giovinetto colla propria malinconia, se ne stava muta contemplando l’angolo per dove era scomparso, quando entrò la grossa Trudchen con un piatto fumante di schibling in una mano e una insalata di patate nell’altra.

Nel passare accanto alla fanciulla inchinò verso lei il suo volto pavonazzo dove due occhietti grigi facevano l’impossibile per mostrarsi maliziosi e susurrò:

— Eh! signorina, l’avete visto il giovane Hans?

— Non so quello che vuoi dire, Trudchen...

— Andate là che ho capito tutto! e le occhiatine tenere di Hans e i vostri rossori e i vostri turbamenti; e ditemi un po’ perchè il padrone non vuole più che Hans sieda alla tavola comune? Tutto per voi, signorina, per il vostro bel sorriso! Intanto il povero ragazzo pranzerà nella sua camera dove fa freddo e dove io non potrò portargli che quello che resterà sui piatti. Io almeno di questi rimorsi non ne ho; per colpa mia nessun giovane dabbene ha sofferto mai. No.

Elisabet era tanto persuasa di questo che non tentò opporsi; solo mormorò, coprendosi gli occhi col grembiale:

— Credi forse, Trudchen, che io sia senza cuore? Ho pianto tanto quando papà ha fatto quell’intemerata al signor Hans.

— Dite pure Hans semplicemente, chè colla vecchia Trudchen non c’è bisogno di complimenti. Tiriamo via — cosa ha concluso il vostro pianto?