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Avventure di due filosofi, ecc. 151

corpo d’uomo... ci vorrà maggior spirito a fare una stella?

— Ma questi astri brillanti di una luce incognita non dicono nulla al vostro cuore?

— Sì — disse Nourredin alzandosi — essi mi avvertono che è l’ora di andare a letto, e spero bene che l’incantevole Aïssa mi aspetterà impaziente per presentarmi una torta di ribes fatta colle sue belle mani. Venite anche voi?

— Non ancora. È questa l’ora soave del raccoglimento e della meditazione. Vedo di qui la celeste Badura in colloquio coi genî misteriosi della notte; le nostre anime vaganti d’astro in astro si incontreranno in pure aspirazioni che non giova turbare con una importuna presenza.

— Addio, dunque. Che Allah vi protegga.

La casa di Nourredin, bianca, piccina, cinta da aranci (destinati a fare del giulebbe) e che la nascondevano quasi tutta, pareva immersa nel sonno. Solo l’eunuco, custode dell’harem, accoccolato sulla soglia, piangeva dirottamente e stracciavasi il turbante.

— Che mai avvenne? — chiese il filosofo oltre ogni dire meravigliato e perplesso.

— Mio signore — gemette l’eunuco trascinandosi carponi a’ suoi piedi — una orribile disgrazia ci ha colpiti. Aïssa, l’incantevole Aïssa, bella come il raggio del mattino che brilla sulle vette del Caucaso, elegante come il palmizio che si specchia nelle onde del Tigri, dolce come i profumi che il vento ci reca dall’Yemen, candida come la perla appena formata nel grembo dei mari, maestosa come i cedri...

— Parla, miserabile. Che avvenne di lei?